Nel post precedente ho parlato del racconto, dal punto di vista di lettore. Questo articolo è scritto invece per chi di racconti ne scrive o vorrebbe scriverne. Che tu sia autore esordiente o affermato spero ti siano utili.
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Tanto è buono: non vale nella scrittura
Il primo timore dello scrittore esordiente davanti al foglio bianco è come riempire le pagine. Potrebbe pensare di non essere in grado di tirar fuori abbastanza idee, di non avere abbastanza parole da mettere una dietro l’altra.
Se hai già scritto qualcosa ti sarai accorto che la parte più difficile è, invece, trovare una giusta quantità di parole che sia necessaria e sufficiente a raccontare la storia che hai in mente: non una di meno, non una di più. E questo vale sia che tu stia scrivendo un’epopea che si svolge attraverso secoli, o un romanzo, ma varrà ancor di più se stai per scrivere un racconto. In questo caso potresti scontrarti sulla difficoltà a ridurre, piuttosto che aggiungere elementi.
Un tanto al chilo
Forse con lo stesso fraintendimento, davanti allo scaffale di una libreria, con una implicita equazione si ha la tendenza a credere che un romanzo lungo valga più di un racconto.
Non è così.
Scrivere un racconto è una fine arte di cesellatura.
Il giusto peso di poche parole
Un racconto è uno scritto di brevi dimensioni. Si definisce racconto breve quando è di due, tre, dieci pagine e racconto lungo se invece supera le trenta pagine. Ma, come spesso accade nelle questioni letterarie, non ci sono regole. Ci sono racconti di un solo paragrafo, altri lunghi una sola frase.
Arthur C.Clarke, autore di Odissea nello spazio per capirci, nel 1984 inviò un racconto alla rivista Analog un racconto breve, brevissimo: trentuno parole (che cito solo in parte):
E Dio disse: ELIMINA linee da Uno ad Aleph. CARICA. ESEGUI. E l’universo cessò di esistere […]
Tratto da lettersofnote
Fulmineo e senza pietà anche quello (erroneamente) attribuito a Hemingway
For sale, Baby shoes, Never worn
(In vendita. Scarpe da bambino. Mai usate)
E ancora, scrive Umberto Eco nel saggio Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione:
Lo scrittore guatemalteco Augusto Monterroso ha scritto una volta quello che viene considerato il racconto più breve di tutta la letteratura universale:
«Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí»
(Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì.)
E più avanti scrive
Immaginiamo […] un regista che voglia trarre da questo miniracconto un film […] Il regista non può evidentemente far vedere un tizio che dorme, poi si sveglia, e vede un dinosauro: avrebbe perduto il senso inquietante di quel todavia…
Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione
Il saggio parla di traduzione ma quello che a noi serve è in questa frase: il peso di quel todavia.
Nel giro di poche pagine lo scrittore di racconti restituisce al lettore uno scenario, un tema, personaggi per cui il lettore dovrà parteggiare.
Viene con sé che ogni parola abbia un peso importante ai fini dello sviluppo della narrazione, e come afferma lo scrittore Vittorio Catani in un articolo comparso su fantascienza.com nel 2010, ogni parola dovrà dire, e suggerire tutto quello che non c’è spazio per dire. La narrazione dovrà tendersi e sciogliersi nel finale, che potrà stupire con una conclusione esplicita, o restare aperto, lasciando spazio all’interpretazione del lettore, ma suggerendo sempre una completezza.
Il romanzo è una casa di proprietà, il racconto è un appartamento in affitto
Con queste (efficaci) parole Antonio Tabucchi spiega la differenza che c’è tra scrivere un romanzo e scrivere un racconto. L’intervento, apparso sul portale Letteratura di Rai Cultura, è breve e significativo:
Il romanzo è disponibile: lo si può cominciare e poi lasciare, è come avere una casa propria. Il racconto è un appartamento in affitto: se uno [lo scrittore, ndr] se ne va, lo perde” spiega. “È una lotta contro il tempo […] e va fatto in quel momento sennò lo si perde
Scrivere un racconto ha bisogno di poche sessioni, la scrittura (la prima stesura) va abbozzata in fretta o l’evento che stiamo narrando potrebbe cambiare forma, e lo scrittore sarebbe la prima vittima della natura mutevole di questa fugace forma narrativa, che non ha inizio e non ha fine e per lo stesso motivo ha infiniti inizi e altrettanti finali
Tabucchi prosegue parlando di tensione, che nel racconto deve essere forte e per questo ha bisogno di un lavoro di oreficeria. E se il romanzo “accetta una certa trasandatezza” per cui certe pagine possono essere più narrative e contenere descrizioni e divagazioni “… il racconto no, ha bisogno che uno debba essere lì con l’occhiellino, come l’orefice”.
Anche per questo i racconti, al contrario di quello che si possa pensare, non sono una lettura veloce. Per l’accuratezza con cui vengono scritti, in cui ogni parola è funzionale alla narrazione, devono essere letti più volte per poter cogliere significati che ad una prima lettura possono sfuggire.
Regole per un buon racconto
E finalmente arriviamo alle regole, che quando la materia è troppo vasta possono salvare come strisce di terra all’orizzonte quando si naviga in mare aperto. Kurt Vonnegut ne ha stilate otto: in parte riassumono quello di cui si è parlato in questo articolo, e in più offrono altri spunti. Rimando ad un breve articolo che ho scritto a proposito
E così, cari scrittori, vi saluto con una frase tratta dall’intervento di Tabucchi: che possa incoraggiarvi a proseguire nel vostro sommerso, spesso notturno, invisibile lavoro di artigiani, forgiatori di storie: prodotti impalpabili come aria fritta, ma che richiedono fatica, quella vera e fisica del corpo.
La letteratura è fatta di talento ma è fatta anche di lavoro, di fatica, bisogna stare sulla pagina una giornata intera perché non viene bene poi se non viene bene bisogna buttare via tutto: è questo la letteratura. Scrivere un libro stanca molto, anche un racconto può stancare moltissimo. Uno arriva alla sera, ha scritto un racconto di dieci pagine e si sente esausto.
Buon lavoro.